Quell’addio a Valeria nella terra di nessuno
La croce mai comparsa in piazza, il nome di Cristo non è mai stato pronunciato, ha risuonato l’inno alla gioia. Così l’imam ha potuto riempire il vuoto della nostra identità con Allah
Renato Farina – Mer, 25/11/2015 – 15:10
La gondola scivolava mesta ed è approdata a San Marco, con il corpo di Valeria, che fu bella, nella bara chiara. C’era l’Italia in quella piazza circondata in alto da croci, sulle cupole e sul campanile, ma la croce non è mai comparsa giù in basso, non è mai stato pronunciato nei microfoni il nome di Cristo.
Giusto così. Così hanno voluto i genitori, così abbiamo accettato tutti, ma che vuoto. Inutilmente il Leone teneva spalancato il Vangelo dalla Torre dell’Orologio. La famiglia Solesin, con una decisione certo rispettabile e che solo a lei toccava, ha deciso infatti per la celebrazione di un «funerale laico».
Laico oppure civile, non so. Ma i funerali civili dei comunisti avevano le bandiere rosse e la banda suonava l’Internazionale. C’era il timbro di un’identità appassionata. Qui è risuonato alla fine l’Inno alla gioia di un’Europa dall’identità stinta, senza orgoglio delle proprie radici giudaico-cristiane, in nome del multiculturalismo, della non appartenenza a nessuno. Così ha voluto la famiglia Solesin, e ci inchiniamo, come si è inchinato anche il Patriarca di Venezia, alla libertà: anche questo è Europa, e diremmo, anche questo è civiltà cristiana.Le motivazioni però di questo gesto pubblico meritano di essere discusse, anche perché la testimonianza di dignità data da questi genitori rischia di trasformare in dogma il loro giudizio. Il padre Alberto ha spiegato: «Non abbiamo voluto un funerale cattolico perché mia figlia non ha avuto una educazione religiosa, ma non ho contrarietà rispetto a una benedizione o all’intervento di un imam». Ha aggiunto: «Volevamo qualcosa che non fosse di proprietà di qualcuno, che non fosse divisivo, ma aiutasse a unire». Come dire: la colpa delle divisioni, e alla fine, quello che favorisce il terrorismo, è l’identità dichiarata, è la croce. La croce divide. Non esiste religione di Stato, il cattolicesimo non lo è più.
Ma qui siamo ad una nuova religione di Stato, il cui segno è di non avere segni. Ciò che unisce, deve essere secondo quanto dice Alberto Solesin privo d’identità. Ne deriva che l’unica identità accettabile è la rinuncia ad amare proprie certe cose, certi segni, una tradizione, una fede. No, non è giusto.È l’oicofobia, l’odio della nostra casa, tanto più se in essa sta appeso un crocifisso. Secondo questa religione di Stato laica sempre più maggioritaria avrebbero ragione coloro che pretendono di togliere dalle aule scolastiche il crocifisso. Invece noi siamo questo crocifisso. Anche chi non lo prega ne è costituito. E nei gesti pubblici è molto triste che sia additato persino nel dolore comune come simbolo di divisione. Ogni popolo, ogni nazione, a prescindere dalla fede che è sempre personale, sono generati su un suolo che ha ricevuto il seme di una cultura, di una civiltà originarie. Il timbro della voce, non c’è nulla da fare, resta quello. Popoli e genti, anche quando si ribellano alla tradizione, però ne sono inesorabilmente figli. Non so voi, ma io ho respirato quando ho sentito il suono delle campane, verso le 11 e 50. Finalmente.
Tristi ma argentine, cariche di un dolore e di molto cielo. Parlavano la nostra lingua interiore. Quello scampanio non veniva dal campanile di San Marco, vietato, ma dalla Torre dell’Orologio. Quella Torre però a sua volta è piaccia o non piaccia – una torre cristiana. Il suono delle campane, colpite con un martello, ricorda che il Verbo (Cristo) è all’origine della creazione. E combatte il caos. Anche ieri lo ha fatto.Oriana Fallaci, per coerenza con la sua vita di atea, ha voluto che si celebrasse un funerale senza preti e senza benedizione in chiesa. Ma ha chiesto come dono che al passaggio del suo corpo le campane di Santa Maria del Fiore, cattedrale di Firenze, la salutassero. La nostra identità sono le campane, che sono il cattolicesimo italiano. Questo funerale laico ha registrato invece questo fatto storico: l’unica preghiera pubblica è stata fatta dall’Imam di Venezia. Il nome di Allah è stato invocato sette volte. Dio si dice in arabo Allah e non si fa il conteggio delle pari opportunità in materia di religione.
Non è per questo che lo dico. Il fatto è che il Patriarca Moraglio ha fatto un discorso perfettamente a-confessionale, in linea con la richiesta dei genitori, e poi in silenzio ha benedetto la bara. Gli islamici non hanno avuto questa timidezza. Si sono impossessati dell’unica orazione pubblica che è risuonata nella piazza. Abbiamo sostituito il Requiem di Verdi o di Mozart con l’Inno alla gioia di Beethoven. «Le parole riprese dall’Inno alla gioia di Schiller suonano vuote per chiunque sia sincero. Non proviamo affatto le scintille divine dell’Elisio. Non siamo ebbri di fuoco, ma piuttosto paralizzati dal dolore» (disse una volta Benedetto XVI) per così tanta e terroristica distruzione che è costata tra le tante anche la vita di Valeria. «Noi cerchiamo un Dio che non troneggia a distanza, ma entra nella nostra vita e nella nostra sofferenza». Questo è il cattolicesimo. Anche per chi non crede. L’immagine del «funerale di una vergine» di Gaetano Previati, con i chierichetti e il prete, con i volti corrugati di dolore per l’ingiustizia della morte in un fiore, eppure anche speranzosi, dice questa vicinanza. La croce dice questa vicinanza di Dio.La religione europea è un vuoto, che l’Islam riempie.
Sono d’accordo, molte cose positive si possono dire su questa manifestazione di dialogo commosso, che queste esequie di Valeria ha consentito. Ma le hanno già dette in modo magnifico tutti, ma proprio tutti i telegiornali. A qualcuno deve toccare il compito ingrato di Cassandra. Il vuoto spirituale che è la religione laica dello Stato, per cui annulla nel grigio qualsiasi identità, è riempito da chi ha un messaggio forte, sa cosa dire, e riesce a far intervenire tranquillamente e senza tanti pudori persino il suo Allah a funerali laici, che sono comunque un passo indietro accettato da quel cristianesimo che invano protende le sue croci dalla cupole di San Marco, dal Campanile, mentre zittiscono il Leone che inutilmente spalanca il Vangelo sulla piazza. Finché quelle croci e le campane non ce le tireranno giù, come hanno già fatto a Mosul con i martelli e i picconi pochi mesi fa, nel silenzio di tutte le comunità islamiche italiane (ma anche delle autorità italiane e persino vaticane).