1 Aprile 2016 , 93° anniversario del pio transito del Beato Carlo

II 19 novembre 1921, Carlo e Zita approdavano a Funchal in Madera: il Vescovo del luogo, per incarico del Papa, viene loro incontro con tutti i riguardi.

L’Imperatore Carlo ebbe a provare una grande gioia nell’intimo del suo cuore, vedendo come immediatamente si erigeva entro la sua abitazione una cappella, ove, nella dura sorte del proprio esilio, solo poteva cercare e trovare il più caro dei sollievi.

Gli abitanti dell’isola, vedendo quella sua giovialità, quella pace gioconda e costante nel portare la sua croce, quella continua unione con Dio, non tardarono ad essere infiammati di simpatia verso di lui. L’Imperatore era messo a ben dure prove: uno dei figlioli da lui lasciati nella lontana Svizzera, si era ammalato, – la sua consorte, che in quel tempo si aspettava nuove gioie materne, aveva dovuto far con lui quel viaggio pieno di strapazzi, – e quei pochi mezzi, che ancor restavano dopo la rapina fatta dei suoi beni, andavano scomparendo.

La troppo grande mancanza di mezzi lo costringe ad abbandonare la città di Funchal e trasferirsi al monte sopra la città. Era il 18 febbraio 1922, stagione, ahimè! poco propizia per quel clima nebbioso e, in primavera, malsano.

L’Imperatrice Zita era già tornata, con sei figlioli, il 2 di quel mese. Il 2 marzo venne anche il settimo, bell’e guarito.

II 14 marzo 1922 Carlo Imperatore si ammala: si tratta di cosa da poco.

Il 27 il suo stato peggiora, a cagione di una infiammazione dei polmoni, e riceve il Sacramento della Estrema Unzione. Volle fosse presente Ottone, il primogenito, perché voleva dargli un esempio. “Affinché egli sappia, disse, in qual modo dovrà diportarsi un giorno, come Imperatore e come vero cattolico “.

In tutta la sua vita Carlo d’Austria aveva sempre e prontamente perdonato tutti gli oltraggi e tutti i torti. Nella confessione generale di tutta la vita, che ora vuol fare, dichiara nuovamente di voler perdonare a tutti i nemici e avversari; e nello stesso tempo vuole accentuare la sua ferma volontà di non lasciar mai i diritti e i doveri che erano stati dati alla sua persona.

“Devo tanto patire, affinché i miei popoli abbiano a ritrovarsi nuovamente uniti”. Quest’espressione ci fa conoscere con quali intenzioni d’amor di patria e di fedeltà egli offriva a Dio i suoi dolori.

Nella sua infermità egli conserva un’esemplare pazienza; nella morte, una piena rassegnazione alla volontà di Dio.

Gettano viva luce sopra tutta la sua vita le parole semplici, ma dense di significato, da lui proferite la notte della sua morte: “Tutti i miei sforzi tendono sempre a questo fine, di conoscere in tutte le cose la volontà di Dio più chiaramente che sia possibile, ed eseguirla con la maggior possibile perfezione”.

Così anche poco prima della morte, conoscendo chiaramente ch’essa si avvicinava, potè dire: “Sia fatta la Tua volontà!”.

Il giorno della sua morte, primo d’aprile 1922, aveva ricevuto la mattina, come soleva ogni giorno, la Santa Comunione. A mezzogiorno, pochi minuti prima di spirare, sentì un vivo desiderio di ricevere ancora una volta il Corpo del Signore, che gli fu amministrato come Viatico.

Tra le braccia della cara Consorte, alla presenza del Santissimo Sacramento, in intima orazione, si spense. Dando l’ultimo respiro, aveva pronunciato ancor una volta il Nome di Gesù.

II giorno 5 aprile, la sua salma fu collocata nel santuario, meta di pellegrinaggi, di Nassa Senhora do Monte (Nostra Signora del Monte). Il Vescovo e il popolo di Funchal custodiscono i resti mortali di Carlo d’Austria, come quelli d’una persona, la cui memoria è in venerazione.

L’Eccellentissimo Vescovo di Funchal, trovandosi in Roma con un Sacerdote religioso austriaco, ebbe a dire : “Nessuna missione ha concorso così efficacemente a ravvivare la fede nella mia diocesi quanto l’esempio che le diede il suo Imperatore nella sua infermità e nella sua morte”.

 

Convegno a Piacenza 17 maggio 2014 – pubblicazione degli atti

COPERTINA convegno

L’utile ideologico dell’inutile strage.

Per una rilettura convenientemente revisionista della Grande Guerra a un secolo dal grande dramma.

Maurizio Dossena – Ivo Musajo Somma (a cura di), 

Atti della giornata di studi della Gebetsliga Kaiser Karl

Unione di preghiera Beato Imperatore Carlo per la pace tra i popoli, Delegazione di Piacenza (Piacenza, sabato 17 maggio 2014), Piacenza, Ellade, 2015.

Il libro raccoglie gli interventi tenuti in occasione del convegno svoltosi a Piacenza nel 2014 per iniziativa della locale delegazione della Gebetsliga. I saggi sono a firma di Ivo Musajo Somma, Massimo de Leonardis, Luigi Mezzadri, Roberto Coaloa e Maurizio Dossena. Il volume è completato dai messaggi di saluto e dalle parole augurali presentati in occasione del convegno, tra gli altri, da Mons. Arnaldo Morandi e da S.A.I.R. l’Arciduca Martino d’Austria-Este e corredato da una nota bibliografica e da una piccola, ma pregevole raccolta di foto d’epoca. 

Il libro può essere ordinato in libreria, oppure, in internet, su IBS:

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Una riflessione che interpella tutti coloro che credono in una Europa dalle radici Cristiane

Quell’addio a Valeria nella terra di nessuno
La croce mai comparsa in piazza, il nome di Cristo non è mai stato pronunciato, ha risuonato l’inno alla gioia. Così l’imam ha potuto riempire il vuoto della nostra identità con Allah

Renato Farina – Mer, 25/11/2015 – 15:10

La gondola scivolava mesta ed è approdata a San Marco, con il corpo di Valeria, che fu bella, nella bara chiara. C’era l’Italia in quella piazza circondata in alto da croci, sulle cupole e sul campanile, ma la croce non è mai comparsa giù in basso, non è mai stato pronunciato nei microfoni il nome di Cristo.

Giusto così. Così hanno voluto i genitori, così abbiamo accettato tutti, ma che vuoto. Inutilmente il Leone teneva spalancato il Vangelo dalla Torre dell’Orologio. La famiglia Solesin, con una decisione certo rispettabile e che solo a lei toccava, ha deciso infatti per la celebrazione di un «funerale laico».

Laico oppure civile, non so. Ma i funerali civili dei comunisti avevano le bandiere rosse e la banda suonava l’Internazionale. C’era il timbro di un’identità appassionata. Qui è risuonato alla fine l’Inno alla gioia di un’Europa dall’identità stinta, senza orgoglio delle proprie radici giudaico-cristiane, in nome del multiculturalismo, della non appartenenza a nessuno. Così ha voluto la famiglia Solesin, e ci inchiniamo, come si è inchinato anche il Patriarca di Venezia, alla libertà: anche questo è Europa, e diremmo, anche questo è civiltà cristiana.Le motivazioni però di questo gesto pubblico meritano di essere discusse, anche perché la testimonianza di dignità data da questi genitori rischia di trasformare in dogma il loro giudizio. Il padre Alberto ha spiegato: «Non abbiamo voluto un funerale cattolico perché mia figlia non ha avuto una educazione religiosa, ma non ho contrarietà rispetto a una benedizione o all’intervento di un imam». Ha aggiunto: «Volevamo qualcosa che non fosse di proprietà di qualcuno, che non fosse divisivo, ma aiutasse a unire». Come dire: la colpa delle divisioni, e alla fine, quello che favorisce il terrorismo, è l’identità dichiarata, è la croce. La croce divide. Non esiste religione di Stato, il cattolicesimo non lo è più.

Ma qui siamo ad una nuova religione di Stato, il cui segno è di non avere segni. Ciò che unisce, deve essere secondo quanto dice Alberto Solesin privo d’identità. Ne deriva che l’unica identità accettabile è la rinuncia ad amare proprie certe cose, certi segni, una tradizione, una fede. No, non è giusto.È l’oicofobia, l’odio della nostra casa, tanto più se in essa sta appeso un crocifisso. Secondo questa religione di Stato laica sempre più maggioritaria avrebbero ragione coloro che pretendono di togliere dalle aule scolastiche il crocifisso. Invece noi siamo questo crocifisso. Anche chi non lo prega ne è costituito. E nei gesti pubblici è molto triste che sia additato persino nel dolore comune come simbolo di divisione. Ogni popolo, ogni nazione, a prescindere dalla fede che è sempre personale, sono generati su un suolo che ha ricevuto il seme di una cultura, di una civiltà originarie. Il timbro della voce, non c’è nulla da fare, resta quello. Popoli e genti, anche quando si ribellano alla tradizione, però ne sono inesorabilmente figli. Non so voi, ma io ho respirato quando ho sentito il suono delle campane, verso le 11 e 50. Finalmente.

Tristi ma argentine, cariche di un dolore e di molto cielo. Parlavano la nostra lingua interiore. Quello scampanio non veniva dal campanile di San Marco, vietato, ma dalla Torre dell’Orologio. Quella Torre però a sua volta è piaccia o non piaccia – una torre cristiana. Il suono delle campane, colpite con un martello, ricorda che il Verbo (Cristo) è all’origine della creazione. E combatte il caos. Anche ieri lo ha fatto.Oriana Fallaci, per coerenza con la sua vita di atea, ha voluto che si celebrasse un funerale senza preti e senza benedizione in chiesa. Ma ha chiesto come dono che al passaggio del suo corpo le campane di Santa Maria del Fiore, cattedrale di Firenze, la salutassero. La nostra identità sono le campane, che sono il cattolicesimo italiano. Questo funerale laico ha registrato invece questo fatto storico: l’unica preghiera pubblica è stata fatta dall’Imam di Venezia. Il nome di Allah è stato invocato sette volte. Dio si dice in arabo Allah e non si fa il conteggio delle pari opportunità in materia di religione.

Non è per questo che lo dico. Il fatto è che il Patriarca Moraglio ha fatto un discorso perfettamente a-confessionale, in linea con la richiesta dei genitori, e poi in silenzio ha benedetto la bara. Gli islamici non hanno avuto questa timidezza. Si sono impossessati dell’unica orazione pubblica che è risuonata nella piazza. Abbiamo sostituito il Requiem di Verdi o di Mozart con l’Inno alla gioia di Beethoven. «Le parole riprese dall’Inno alla gioia di Schiller suonano vuote per chiunque sia sincero. Non proviamo affatto le scintille divine dell’Elisio. Non siamo ebbri di fuoco, ma piuttosto paralizzati dal dolore» (disse una volta Benedetto XVI) per così tanta e terroristica distruzione che è costata tra le tante anche la vita di Valeria. «Noi cerchiamo un Dio che non troneggia a distanza, ma entra nella nostra vita e nella nostra sofferenza». Questo è il cattolicesimo. Anche per chi non crede. L’immagine del «funerale di una vergine» di Gaetano Previati, con i chierichetti e il prete, con i volti corrugati di dolore per l’ingiustizia della morte in un fiore, eppure anche speranzosi, dice questa vicinanza. La croce dice questa vicinanza di Dio.La religione europea è un vuoto, che l’Islam riempie.

Sono d’accordo, molte cose positive si possono dire su questa manifestazione di dialogo commosso, che queste esequie di Valeria ha consentito. Ma le hanno già dette in modo magnifico tutti, ma proprio tutti i telegiornali. A qualcuno deve toccare il compito ingrato di Cassandra. Il vuoto spirituale che è la religione laica dello Stato, per cui annulla nel grigio qualsiasi identità, è riempito da chi ha un messaggio forte, sa cosa dire, e riesce a far intervenire tranquillamente e senza tanti pudori persino il suo Allah a funerali laici, che sono comunque un passo indietro accettato da quel cristianesimo che invano protende le sue croci dalla cupole di San Marco, dal Campanile, mentre zittiscono il Leone che inutilmente spalanca il Vangelo sulla piazza. Finché quelle croci e le campane non ce le tireranno giù, come hanno già fatto a Mosul con i martelli e i picconi pochi mesi fa, nel silenzio di tutte le comunità islamiche italiane (ma anche delle autorità italiane e persino vaticane).

* 21 Ottobre, memoria liturgica del Beato Carlo

DA: LA NUOVA SCINTILLA

Settimanale di informazione della diocesi di Chioggia, sede: Rione Duomo 736/a – tel 0415500562 nuovascintilla@gmail.com

A cent’anni dallo scoppio del primo conflitto mondiale (1914-1918), nel decennale della beatificazione di Carlo d’Asburgo ultimo Imperatore d’Austria, ricordiamo tale Beato, la cui memoria liturgica cade martedì 21 ottobre. Alla morte aveva soltanto 34 anni ed era in esilio a Madeira, cacciato dalle forze politiche massoniche che si erano rafforzate nel Paese – dopo la prima guerra mondiale – e che si opponevano a Carlo perché cattolico osservante e rappresentante gli ideali perseguiti dalla Chiesa. Negli ultimi giorni di vita chiama a sé il figlio primogenito Otto perché veda “come muore un imperatore”, perdonando, nel contempo, tutti i suoi nemici. L’Imperatrice Zita – oggi Serva di Dio -, rimase sola e senza mezzi di sussistenza, madre vedova con sette figli, da uno a nove anni.
Non tutti sanno che fu San Giovanni Paolo II a volere fortemente la sua beatificazione, che in Vaticano, a dire il vero, non tutti approvavano, ritenendo – a torto – l’imperatore Carlo un guerrafondaio, forti di quanto la storia – con la “S” maiuscola e quindi quella “ufficiale” – ha voluto falsamente propinarci, su ordine delle potenze massoniche. Il suo amore per Cristo lo porta, invece, ad essere generoso e per questo suo amore verso la religione, la preghiera e la carità per il prossimo, entra, fra l’altro, nell’Ordine di Malta. Anatole France, premio Nobel per la Letteratura nel 1921, scrisse di lui: “L’imperatore Carlo è l’unico uomo decente – emerso durante la guerra – ad un posto direttivo; ma non lo si ascoltò. Egli ha desiderato sinceramente la pace, e perciò viene disprezzato da tutto il mondo”. E lo scrittore inglese Herbert Vivian, che lo aveva conosciuto: “Carlo era un grande capo, un principe della pace, che voleva risparmiare al mondo un anno di guerra; un uomo di Stato con idee salvatrici per i complicati problemi dei suoi paesi; un monarca che amava i popoli, un uomo senza paura, d’animo nobile, di prestigio, un santo, dalla cui tomba si diffonde benedizione”. Il 21 novembre 1916, Carlo I d’Asburgo sale al trono con un solo pensiero: la pace. Sviluppa una rete diplomatica verso le capitali europee in conflitto, aiutato anche da Papa Benedetto XV, ma tutti i tentativi falliscono, osteggiati da personaggi – per lo più massoni – che vedono in lui e nella sua grande fede cattolica un nemico. Con il crollo dell’Impero, il 12 novembre 1918 a Vienna si proclama la repubblica. La perfidia del mondo diffonde su di lui false calunnie ed oltraggi. Nel 1920 mons. Eugenio Pacelli, nunzio apostolico a Monaco di Baviera, ha un giorno l’occasione di viaggiare in treno con lui. Al ritorno, il futuro Pio XII, nella cappella della nunziatura, dirà ad alta voce: “Ti ringrazio, o Signore, di avermi fatto incontrare così grande anima”.

FESTA DEL BEATO CARLO

Date della vita del Beato Carlo- 20 Ottobre, inizio del secondo tentativo di ritorno in Ungheria

20 Ottobre 1921
Inizia un secondo tentativo da parte di Carlo e Zita di ritorno in Ungheria. La seconda marcia su Budapest del re-imperatore era ben organizzata, sebbene avesse qualcosa di pazzamente avventuroso: accanto a Carlo c’era la moglie Zita; essi, per raggiungere l’Ungheria dalla Svizzera, avevano utilizzato l’aeroplano: uno Junker F 13 (costruito nel 1920, con un motore BMW di 6 cilindri e di una potenza di 185 cavalli, capace di una velocità di crociera di 170 chilometri orari), guidato dal pilota ungherese Alexay Andréas. Era il primo volo nella storia di una coppia di regnanti. Dopo il volo ci fu il drammatico epilogo. L’ammiraglio Horthy tradì il suo Re catturandolo insieme all’Imperatrice e confinando entrambi in un luogo sconosciuto in attesa dell’esilio finale

La Gebetsliga oggi in Italia

bio-05kQuesta avventura è iniziata Dopo le manifestazioni tenutesi a Brescia il 18 e il 21 ottobre 2007, in onore del Beato Carlo d’Austria, da allora è sembrato opportuno mantenere ed aggiornare questo sito attraverso la pubblicazione dei testi delle relazioni tenutesi durante il convegno, nonchè delle immagini documentarie dei momenti salienti di quell’ evento.
Nessuno immaginava cosa ne sarebbe seguito, di tempo ne è passato e sono nate altre iniziative, alcune delle quali sono qui documentate. Oggi possiamo dire, come recita l’intestazione, che questo sia il sito ufficiale della Gebets-liga Kaiser Karl per l’Italia, uno spazio aperto all’incontro, allo scambio, alla proposta di iniziative tese a far conoscere e diffindere la storia e la devozione al Beato Imperatore Carlo e alla Venerabile Serva di Dio Zita d’Austria. Siamo convinti, come del resto lo fu San Giovanni Paolo II, che l’Imperatore Carlo sia una figura centrale nel panorama storico dell’Europa moderna. Quale capo di stato, esercitò le virtù cristiane eroiche opponendosi all’”inutile strage” della prima guerra mondiale, dando credito e risalto agli insegnamenti e agli appelli di Papa Benedetto XV, non solo, nei pochi anni del suo regno, spese tutto se stesso per il bene e la promozione umana, sociale e cristiana dei suoi popoli. Uomo di grandi ideali e di autentica ampiezza di vedute, pose le basi di uno stato moderno, fondato sul rispetto delle etnie e delle diversità culturali e religiose e non su quel falso senso di libertà che oggi sfocia spesso in un freddo cinismo e nella dimenticanza, se non addrittura nell’oppressione, dei più deboli. Pensò una società forte perchè capace di cercare i propri limiti e superarli prendendosi cura di tutti. Capì ciò che l’Europa ha capito, solo in parte ai giorni nostri e cioè che il vero benessere non si può basare sulla supremazia di nessuno, di nessun uomo e di nessun popolo, sugli altri, quanto sulla fratellanza che può nascere solo dall’accettazione e dall’accoglienza, oltre che, dal rispetto della dignità di ogni essere umano.
Quale sposo e padre di famiglia, il Beato Carlo, costituisce anche oggi un modernissimo esempio di come l’amore tra un uomo e una donna, li possa pienamente realizzare umanamente e cristianamente, attraverso una perfetta simbiosi di umano e spirituale. Carlo e Zita, l’imperatrice sua consorte, ebbero una storia d’amore degna del più tenero romanticismo, ed entrambi la vissero come risposta alla chiamata di Dio. I due giovani sposi, subito chiamati ad altissime e drammatiche responsabilità sociali, non tralasciarono mai i propri doveri famigliari, si curarono l’uno dell’altra, ed entrambi dei loro otto figli, a cui non fecero mai mancare tutto l’affetto e l’educazione possibile, attendovi personalmente, compresa l’educazione alla fede. Si dice che ogni grande uomo abbia avuto al suo fianco una grande donna, la storia di Carlo e Zita è sicuramente la conferma di questo aforisma, la loro fu una unione autentica nella buona e nella cattiva sorte e nemmeno la morte che normalmente scioglie dal legame il coniuge sopravvissuto, riuscì a separali, Zita rimase fedele al suo Carlo per i sessant’anni che gli sopravvisse curandosi unicamente dei suoi figlioli e desiderando solo di reincontrarlo in quella Patria Beata dove nessuno dei figli di Dio potrà mai conoscere esilio.
Infine ci sembra doveroso ricordare come Carlo d’Austria fu esemplare anche in una virtù tanto delicata quanto invalicabile e oggi spesso negata: il dolore. Questo giovane uomo, portò nella sua esistenza il peso di un dolore interiore e fisico notevolissimi, con una forza che i non credenti ritennero inspiegabile. Subì l’onta della sconfitta e della detronizzazione, senza mai cedere ad una abdicazione che egli considerava un tradimento di Dio e dei suoi popoli, ma che avrebbe portato a lui e alla sua famiglia una vita agiata e tranquilla. Vogliamo solo spendere poche parole ora per quella che certamente fu per Carlo la spina più profonda e dolorosa: la diffamazione cui fu soggetto da parte dei suoi nemici ed avversari politici. Non gli servì difendersi, gli bastò l’integrità della sua vita, ben conosciuta e stimata da chi gli viveva accanto e dalla maggior parte dei suoi sudditi che vedeva in lui un vero padre.
Non possiamo nemmeno immaginare cosa possa aver significato per l’imperatore Carlo l’esilio, l’essere allontanato forzatamente da quella corona, da quel regno che egli viveva come dono di se in risposta alla chiamata di Dio. Ma Carlo doveva anche salire sulla croce del dolore fisico, di una malattia devastante che lo avrebbe stroncato nel fiore degli anni. E’ proprio la lucida testimonianza di chi lo assistette in quelle ore terribili che ci restituisce tutta la sua dolcezza e serenità, la confidenza e l’intimità con Dio che ancor oggi commuovono, convincono e insegnano che la croce è di tutti, ma solo chi si lascia vincere da Cristo la può portare per la redenzione propria e dell’umanità.
Per questi e per tutti i motivi ampiamente circostanziati nel lunghissimo processo canonico di Carlo d’Austria, Giovanni Paolo II lo volle donare alla Chiesa, attraverso la Beatificazione, quale testimone di Speranza e intercessore di Grazie celesti. Ora tutto il nostro impegno va alla propagazione della devozione al Beato Carlo nella certezza che Egli vorrà profondere il favore delle grazie celesti a coloro che mossi dalla sua testimonianza chiederanno la sua intercessione in  attesa della prossima auspicata canonizzazione.